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La più grande prigione in cui le persone vivono è la paura di ciò che pensano gli altri

David Icke

Vi racconto una storia.

C’era una volta una bambina che aveva pensieri “strani”. Alla sua età, non pensava tanto a giocare… si poneva interrogativi esistenziali: “Qual è il mio compito in questa vita?” … e pensava (forse un po’ troppo) a nobili azioni da compiere quando sarebbe diventata grande.

Nel frattempo, si era scontrata con un mondo che, non so per quale motivo, non aveva accettato. Probabilmente non era ancora pronta per calarsi nella realtà e preferiva vivere nel suo mondo interiore. Aveva scelto quindi di comunicare solo in maniera selettiva, scegliendo di parlare solo con chi aveva deciso di farlo. Era probabilmente il suo modo per proteggersi nei confronti del mondo esterno. Probabilmente, aveva solo bisogno di tempo.

Questa sua scelta non era però stata molto compresa dalla società.

I genitori cominciarono ad esercitare pressioni. Spesso queste erano vere e proprie minacce: “Se non parli,… ” e a scuola piovevano insulti, anche dagli stessi “educatori”. Questa bimba riceveva pressioni talmente insistenti che l’effetto fu… (indovinate un po’?)  una maggior chiusura in se stessa.

Era diventata una situazione talmente consolidata, che, pur volendo, diventava difficile uscire dal personaggio che si era creato. Pensava: «Se cambio, mi insulteranno anche perché ho parlato. “Ah, ma allora parli?” Mi diranno». Una situazione pirandelliana! Voler cambiare, avendo paura di farlo; quindi, continuare a mantenere la maschera che la società impone.

Non è quello che succede anche oggi? Quante persone vorrebbero cambiare, ma non lo fanno per paura della società?

Questa società che ci vuole tutti uguali. Se qualcuno si adegua ad un certo stereotipo, viene additato come “diverso”. Ma chi definisce ciò che è normale e ciò che non lo è?

E non è forse la paura degli altri che ci impedisce di vivere la nostra vita? Che ci fa vivere in una prigione per timore del giudizio altrui?

Pensiamo a questa bimba: rimase incastrata per anni nel suo mondo per paura di quello che potessero dire gli altri, senza riuscire ad affermare se stessa.

Timidezza o una forma di ribellione? Bassa autostima o superbia? Quali erano i sentimenti che la spingevano a tali scelte?

Difficile a dirsi. Ma un bel giorno fece una scelta: aprì la crisalide e fece nascere la farfalla che era in lei.

E scegliessimo anche noi di non aver paura?

 

 

 


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