Grani Antichi e Pasta Madre
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Si parla molto di grani antichi e ci sono opinioni diverse a riguardo. Tuttavia in pochi, anche tra chi ne parla, saprebbero dare la risposta giusta alla domanda: che cosa sono i grani antichi? Proviamo a rispondere insieme.

La definizione più diffusa li descrive come varietà “non modificate geneticamente” o “non migliorate”, ma questo è solo in parte vero. L’uomo infatti ha sempre modificato le specie che coltiva, fin dall’inizio dell’agricoltura. Come? Semplicemente selezionando le sementi migliori per seminarle l’anno successivo. Migliori, ovviamente, per i propri standard (principalmente produttività e sapore) che non sono gli stessi che premierebbe la natura se le piante crescessero selvaticamente.

Per citare un caso emblematico, il grano tenero è una specie nata 8-9 mila anni fa nei campi coltivati e non ha corrispettivi selvatici: esiste e sopravvive solo perché l’uomo la coltiva. E questo fa capire quanto sia sempre stato invasivo, in un certo senso, l’intervento umano sulle specie.

Nel Novecento le ricerche scientifiche e le nuove tecnologie hanno introdotti nuovi modi per migliorare le specie. Pioniere di queste ricerche è il geniale agronomo italiano Nazareno Strampelli, “inventore” tra gli altri del grano duro Senatore Cappelli e del grano tenero Mentana, due varietà fondamentali nella cosiddetta “Battaglia del grano” che portò la produzione italiana di frumento dai 50 milioni di quintali del 1925 agli 81 milioni di quintali del 1931. Per creare questi grani Strampelli incrociò sul campo diverse varietà secondo le stesse tecniche usate da Gregor Mendel con le piante di piselli, ovvero usando consapevolmente un processo che in natura è sempre avvenuto.

Dalla metà del Novecento, invece, le tecniche di miglioramento hanno iniziato a coinvolgere raggi gamma, raggi X, fasci di neutroni e altri processi che la natura non ha mai usato. Così è nato il grano Creso nel 1974, ancora oggi tra le varietà più coltivate del mondo e presente nei programmi di miglioramento di quasi tutte le varietà moderne di grano duro. Tuttavia, per quanto queste tecniche possano lasciare interdetti, i grani moderni non contengono assolutamente tracce radioattive e finora nessuno studio suggerisce che siano dannosi per la salute a causa di questi mutamenti.

Lo sono, invece, per una maggiore presenza di glutine e per una struttura diversa di questa sostanza: nei grani moderni è maggiore la frazione di gliadine, che provoca l’infiammazione delle mucose e dei villi intestinali e riduce l’assorbimento di nutrienti da parte dell’intestino. Ma allora a cosa sono dovuti questi cambiamenti? Abbiamo visto che né la distinzione tra varietà migliorate e non, né quella tra miglioramenti “naturali” e “artificiali” sono decisive. Stando agli studi attualmente disponibili, invece, ad essere decisivi sono gli obiettivi con cui si sono selezionate e migliorate le varietà di frumento negli ultimi 70 anni.

Il principale criterio di selezione, infatti, è diventato la resistenza alle lavorazioni industriali. Per questo si sono selezionati grani sempre più proteici, in grado di sviluppare quantità di glutine mai viste nelle varietà che venivano coltivate prima di questi programmi di miglioramento, e con una presenza di gliadine molto maggiore. Questo permette di lavorare questi grani a temperature molto più alte e ridurre i tempi di lievitazione. Ma così facendo si ottengono prodotti più poveri (oltre una certa temperatura si perdono molte delle vitamine e dei sali minerali presenti nel grano) e nei quali gli enzimi del lievito non hanno avuto il tempo di “digerire” il carico tossico del glutine.

Per identificare le varietà che venivano coltivate prima della selezione per fini industriali si è scelto il termine grani antichi. Si tratta di un vasto gruppo di varietà che vanno dal farro monococco (la prima specie coltivata, circa 12 mila anni fa, che tecnicamente possiamo considerare varietà di frumento) e dicocco fino al Senatore Cappelli e al Mentana inventati da Strampelli e anche oltre. Il più giovane grano antico ancora oggi diffuso è probabilmente il Verna, nato nel 1953 dalle ricerche di Marino Gasparini. Ma tutte queste varietà si inseriscono in una lunga storia di miglioramento alla ricerca di grani più produttivi e più buoni, che venivano solitamente macinati a pietra e lavorati in piccoli laboratori artigianali.

A mano a mano che i processi di produzione si sono industrializzati si è cominciato a selezionare i grani più performanti in un contesto mai visto prima. In questo modo si è arrivati a produrre grani sempre più proteici, con indici di glutine altissimi se rapportati ai grani antichi, che hanno consentito di aumentare la produzione accorciando i tempi di impasto e alzando le temperature di cottura ed essiccazione.

Per fare un esempio, il disciplinare di produzione della pasta dice che è necessario un grano con almeno il 10,5% di proteine. In effetti questo valore è sufficiente a produrre una pasta che tenga la cottura e non si spacchi se si usa un’essiccazione lenta a temperature basse. I migliori standard di lavorazione, come quelli della Pasta di Gragnano (che però è prodotta anche con grani moderni e canadesi), usano un’essiccazione di 24-48 ore a 43-47°C.

La pasta artigianale AmoreTerra, prodotta con Senatore Cappelli, usa un’essiccazione di 24-48 ore a 34-44°C. Oggi invece una pasta industriale è prodotta con grani che hanno il 14% di proteine e possono essere essiccati in 2-3 ore a 120°C garantendo una perfetta tenuta di cottura. Così è stato possibile far diventare la pasta un prodotto disponibile in grandi quantità e a bassissimo costo.

Il rovescio della medaglia lo vediamo nel progressivo aumento delle intolleranze al glutine e di molte altre patologie che possono essere direttamente o indirettamente legate al fatto che il nostro organismo non è adatto ad assumere quantità così elevate di glutine. La comunità scientifica non è ancora concorde sul ruolo dei grani moderni nell’aumento di intolleranze e celiachia, ma sempre più studi suggeriscono che esista una correlazione.

Per citare un passaggio del libro La grande via di Franco Berrino e Luigi Fontana: “Alcuni lavori scientifici suggeriscono che la sostituzione dei grani moderni con quelli antichi potrebbe esercitare azioni benefiche sulla colesterolemia, sullo stato infiammatorio, sul danno ossidativo delle membrane cellulari e sulla funzionalità intestinale”.

Certo scegliere i grani antichi obbligherà a qualche accortezza in più durante la preparazione: per via del glutine poco tenace richiedono tempi di impasto brevi (un segreto per ottenere buoni risultati è lasciare riposare l’impasto e lavorarlo a più riprese ma non troppo a lungo) e talvolta una lievitazione più lunga. Il tutto sarà ricompensato con i benefici non solo per la salute, ma anche con un migliore gusto, che è stato sacrificato nella corsa alle farine più proteiche e raffinate possibili.

Scegliendo una farina di grani antichi integrale o semintegrale vi accorgerete subito che il grano ha un sapore molto più intenso e persistente di quanto siamo abituati.

Matteo Lusiani
Responsabile editoriale AmoreTerra


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