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Il paracetamolo è un farmaco antipiretico (riduce la febbre) ed analgesico (riduce il dolore). E’, dunque, usato per i sintomi di febbre e dolore, segnali di uno stato infiammatorio.

Durante un processo infiammatorio acuto, vengono rilasciate citochine proinfiammatorie, in particolare IL-1 (pirogena per eccellenza), TN-alfa , IL-6. Queste citochine agiscono a livello dell’ipotalamo inducendo lo stesso a produrre prostaglandine che vanno a resettare il termostato di riferimento, determinando quindi ipertermia febbrile.

Se la temperatura di riferimento (dell’ipotalamo) viene innalzata, ad esempio, da 37°C a 39°C, il nostro organismo deve arrivare immediatamente a tale temperatura. Lo farà attraverso la liberazione di energia (ATP). Quindi, la risposta sarà

  • una vasocostrizione per impedire la fuoriuscita di calore e
  • la comparsa dei brivido: attraverso la contrazione muscolare andremo a produrre calore.

Quindi, per abbassare la febbre, il paracetamolo come agisce?

Per evitare che venga innalzata la temperatura corporea, deve impedire all’ipotalamo di resettare la temperatura di riferimento, ovvero deve impedire allo stesso di produrre prostaglandine. Queste vengono prodotte attraverso una reazione enzimatica: la ciclossigenasi che trasforma l’acido arachidonico in prostaglandine.

Dunque, agisce inibendo la sintesi di prostaglandine a livello del Sistema Nervoso Centrale (ipotalamo).

Non è considerato un FANS (Antinfiammatorio Non Steroideo) in quanto è inattivato in periferia e quindi ha minore effetto sulla ciclossigenasi nei tessuti periferici. Ecco perché la sua azione antinfiammatoria è pressoché inesistente.

Fomazione di metaboliti tossici

In seguito al metabolismo, il paracetamolo viene trasformato in un metabolita tossico, il p-BQI (parabenzochinone), che può causare danno epatico.

Rischio epatotossicità

Per essere eliminato, il metabolita tossico viene coniugato con il glutatione ridotto (prodotto dal fegato).

A dosi elevate, dunque, il glutatione disponibile nel fegato si esaurisce ed il metabolita tossico si lega agli epatociti (cellule del fegato) causando epatotossicità. Come conseguenza, si può verificare necrosi epatica, una condizione molto grave e potenzialmente molto grave.

Il paracetamolo non va somministrato a pazienti con insufficienza epatica grave.

Deplezione di Glutatione

Quindi, il rischio è di incorrere in deplezione di Glutatione Ridotto (GSH), che il nostro organismo sintetizza ad opera dell’enzima glutatione reduttasi e che molto usato dai linfociti T.

Per cui, una deplezione di GSH comporta una risposta immunitaria meno efficace.

La riduzione del GSH è una condizione particolarmente grave per la risposta antiossidante e antinfiammatoria dell’individuo ed è comprensibile che il suo esaurimento sia cruciale per il peggioramento della malattia COVID-19. L’esurimento di GSH è cruciale per il peggioramento della COVID-19.

Il virus SARS-CoV-2 causa stress ossidativo (il nostro organismo produce radicali liberi per difendersi dai virus). Questo stress ossidativo potrebbe essere compensato dal glutatione ridotto (in quanto è substrato di enzimi come la glutatione perossidasi che catalizza la reazione di trasformazione di perosssido di idrogeno in acqua). Dunque, il GSH protegge la cellula da danno da parte dei radicali liberi (che arrecano danno ai lipidi, alle proteine ed al DNA).

L’uso del paracetamolo per trattare a casa i sintomi lievi della COVID-19, in particolare negli anziani con comorbilità, ha notevolmente aumentato il rischio di ricovero per dispnea da polmonite interstiziale.

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